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DROGA. La "non" punibilità dei familiari conviventi in ipotesi di detenzione.

DROGA. La
PENALE/ Droga. La punibilità per detenzione di stupefacenti anche dei familiari conviventi con l’imputato.  

Nella Giurisprudenza di legittimità sembrano ormai granitici alcuni principi in materia di punibilità per concorso nella detenzione di droga del familiare convivente, mentre nella giurisprudenza di merito talvolta si riportano pronunce che ritengono comunque responsabile anche il familiare che non poteva non sapere dell’attività delittuosa del convivente.

In effetti allorchè il sequestro di stupefacente viene effettuato in una abitazione nella quale vivono più persone si pone il problema della attribuibilità del possesso ad una o più di esse, ed in tal caso dovrà esser rigoroso l’accertamento idoneo a verificare la effettiva responsabilità di ognuno, anche  al di là delle eventuali  dichiarazioni personali, e quindi verificare la la esistenza di indizi che facciano ritenere il possesso in capo all’uno o all’altro dei soggetti indagati: ad esempio intercettazioni telefoniche, impronte digitali, testimonianze di acquirenti.

Allorchè poi si tratta di familiari conviventi l’orizzonte si sposta sopratutto  sull’elemento psichico del reato : ossia la consapevolezza o meno da parte del coniuge, del figlio, della sorella o del genitore dell’indagato della esistenza dello stupefacente.

La Giurisprudenza più garantista ritiene il familiare non convivente non punibile in presenza di precisi presupposti.

Negli anni si è formato un considerevole filone giurisprudenziale che ha ritenuto non punibile la "connivenza” allorchè si tratta di persona di famiglia estranea ai traffici delittuosi del familiare e che non ha in alcun modo agevolato la condotta illecita.

Infatti, viene generalmente esclusa dal novero delle condotte di concorso  la connivenza non punibile, che si manifesta quando l’agente tiene un comportamento meramente passivo senza apportare consapevolmente  alcun contributo alla realizzazione dell’evento ( Cass. Sez. VI 8.1.2003 n. 61; Cass. Sez. VI 4.12.1996).

Addirittura, poi, in tema di detenzione di sostanze stupefacenti vi è Giurisprudenza che non riconosce il concorso morale neanche nella forma del rafforzamento del disegno da altri concepito ( Cass. Sez. I 14.12.1995; Cass. Sez. VI 30.09.1993 ).

La giurisprudenza della cassazione sezione III è intervenuta, nuovamente, di recente, sul tema, specificando, con la sentenza del 4.11.2014 n.45463 che ha stabilito che : " Non è ravvisabile il concorso nella detenzione di stupefacente del familiare convivente nel caso in cui l’agente si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo l’esecuzione, dato che non sussiste un obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p.”

Detta sentenza ha accolto il ricorso dell’imputato avverso una sentenza di condanna in primo e secondo grado : si trattava di persona (madre dell’imputato) coinvolta nel procedimento penale per  detenzione di sostanza stupefacente in quanto era stato rinvenuto nel comodino della stanza da letto del figlio un quantitativo di hashish .

La Corte ha accolto il ricorso e dopo aver richiamato l’orientamento secondo il quale il convivente del soggetto autore dell’ attività di spaccio di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza consentendone l’occultamento, mentre non ne risponde ove si sia limitato a conoscere di tale attività, ha ribadito che: la semplice conoscenza,  la adesione anche morale e l’assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la  fattispecie concorsuale.

La sentenza si inserisce nel solco di altre pronunce (Cass. Sez. VI 22.09.1995 , Cass. Sez. VI 16.01.2006 n. 11392 e Cass. Sez. VI 9.10.2008 n. 39989) che ritengono di escludere il concorso  in presenza di una consapevolezza non punibile perché in nessun modo agevolatrice della condotta criminosa.

E’ ovvio che sarà cura del difensore (del convivente)  valorizzare ogni elemento utile  a far ritenere che nessuno apporto  "attivo” è stato fornito per la detenzione delle sostanze illecite (nel caso esaminato dalla sentenza del 4.11.2014 è risultata decisiva la presenza di indumenti maschili nel comodino ove è stata rinvenuta la droga).

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